Gennaio 2015

Che cos’è la Verifica Preventiva di Interesse Archeologico?

 

La legge 109/2005 art. 2 ter (pubblicata in G.U. n. 146 del 25 giugno 2005) ha introdotto la Verifica preventiva di Interesse Archeologiconella fase di progettazione, puntualizzata negli articoli 95 e 96 del successivo D. Lgs. 163/2006.

Si tratta dell’accertamento di eventuali evidenze antiche per valutare il livello di interferenza tra l’opera da realizzare e il contesto archeologico, permettendo da un lato una tutela più efficace, dall’altro di limitare gli imprevisti ed i loro effetti su tempi e costi della realizzazione delle opere.

Il D.M. 20 marzo 2009, n. 60 (pubblicato in G.U. n. 136 del 15 giugno 2009) ha completato la normativa sull’archeologia preventiva con il “Regolamento concernente la disciplina dei criteri per la tutela ed il funzionamento dell’elenco previsto dall’art. 95, comma 2, del DL 12 aprile 2006, n. 163″ : è stato istituito un elenco in cui possono essere iscritti solo i soggetti in possesso della necessaria qualifica per eseguire la Verifica Preventiva dell’interesse Archeologico, in possesso cioè del Diploma di Specializzazione in Archeologia o del Dottorato di Ricerca in Archeologia. Le imprese che si trovano a dover chiedere consulenza ad un archeologo possono quindi sceglierlo da questo elenco, sulla base delle competenze territoriali o del curriculum.

La legge impone di trasmettere alla Soprintendenza territorialmente competente, prima della loro approvazione, copia dei progetti delle opere pubbliche o private da realizzare, correlati dalla Verifica preventiva di interesse archeologico.

Ma esattamente, che cos’è questa verifica e cosa prevede?

Si tratta di un documento in cui il professionista incaricato determina la probabilità di incidenza (detta anche potenziale archeologico) di resti archeologici con l’opera in progetto attraverso quattro operazioni:

  • Raccolta dei dati di archivio e bibliografici
  • Lettura geomorfologica del territorio
  • Foto interpretazione
  • Ricognizione di superficie

La raccolta dei dati bibliografici e d’archivio fornisce informazioni sulla storia e l’archeologia del territorio; la lettura geomorfologica del terreno permette una valutazione interpretativa delle aree coinvolte in relazione alle loro potenzialità insediative; la foto interpretazione aerea contribuisce, attraverso il riconoscimento di diversi tipi di anomalie, ad identificare macroevidenze archeologiche relativamente superficiali; la ricognizione di superficie permette di individuare nuovi elementi di interesse storico-archeologico.

L’art. 96 prevede una seconda fase, integrativa a quella di progettazione preliminare, in cui vengono eseguiti, su richiesta della soprintendenza, dei carotaggi, delle prospezioni geofisiche o dei sondaggi archeologici.

I carotaggi sono uno strumento utile, soprattutto in area urbana, per valutare la potenza della stratigrafia antropica che si dovrebbe incontrare nel corso degli eventuali e successivi lavori di scavo. Le prospezioni geofisiche sono invece utili in aree poco urbanizzate in cui si conosca già la tipologia strutturale dei resti e la loro profondità approssimativa. I saggi archeologici forniscono le informazioni più certe e meglio interpretabili da documentare, anche in mancanza di qualsiasi evidenza, secondo gli standard previsti dal ministero.

Tutte queste operazioni consentono di sapere, già in fase progettuale, quali saranno le possibili incidenze archeologiche in fase esecutiva e, di conseguenza, di valutare i costi degli interventi archeologici e apportare modifiche al progetto (come spiego qui).

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